Monday 24 June 2013

Skype e NSA

Gli uffici di Skype a Palo Alto, in California

Il New York Times: si chiama Project Chess e permette ai federali di accedere al database di Skype
A maggio del 2012 Microsoft, allora fresco proprietario di Skype, ha modificato l’architettura di rete della piattaforma, sostituendo con Linux i vecchi supernodi P2P. Un cambiamento che per molti non ha significato nulla, almeno alla luce di quello che è successo con la NSA, Snowden e PRISM. Le rivelazioni del giovane informatico statunitense, ufficialmente in fuga alla ricerca di asilo politico, hanno scosso le fondamenta delle aziende hi-tech mondiali, non esclusa Microsoft. Con l’accusa di aprire le porte dei propri server ai federali, i brand coinvolti hanno fin da subito negato ogni loro coinvolgimento nella vicenda, passando da attentatori della privacy personali a inconsapevoli vittime. 
Eppure da quel maggio 2012 per Skype qualcosa è cambiato. L’utilizzo di una nuova struttura centralizzata ha permesso alla casa che controlla la piattaforma di VoIP più famosa al mondo di offrire ai clienti un servizio più stabile e affidabile, nonché maggiormente monitorato. Sulla scia del NSAgate, su cui molto è stato scritto, un’ulteriore tegola è caduta sulla testa di Microsoft, versante Skype. Il sensore che molti dei servizi maggiormente utilizzati dalle persone fossero effettivamente sotto un certo controllo era presente ma fino a quando Edward Snowden ha rivelato carte e segreti delle procedure d’accesso non vi era alcuna prova pubblica sulle intercettazioni. 
Gli utilizzatori di Skype hanno avuto un’ulteriore doccia fredda, dopo gli avvertimenti di PRISM, quando il New York Times ha pubblicato, la settimana scorsa, un documento che rivela come Skype abbia collaborato con la NSA per facilitare l’accesso ai log delle chat e chiamate per le agenzie di intelligence e le forze dell’ordine statunitensi. Il programma è stato attivato nel 2008 ed è conosciuto come “Project Chess”. Ad onor del vero in quell’anno Skype faceva ancora parte del gruppo Ebay e, sarà un caso, che fino a poco tempo fa il programma segreto venisse utilizzato solo per scopi interni e non a livello globale. 
L’anno scorso Skype aveva negato le illazioni sui cambiamenti del software a seguito dell’acquisizione di Microsoft per consentire un accesso più semplice, a livello burocratico, alle forze dell’ordine. “Niente di più contrario alla filosofia di Skype” – aveva detto Mark Gillett, vice presidente della divisione Microsoft Skype, in un post sul suo blog dell’azienda. L’interrogativo ora è un altro: PRISM aveva fatto luce sulla collaborazione tra Skype e la NSA dal 2011 quando in realtà questa era in vigore almeno da un paio di anni prima. La scia delle conseguenze lasciate dalle informazioni date da Snowden potrebbe avere un’origine precedente a quella documentata dalle carte. Non sorprende che le autorità statunitensi siano sempre più interessate alle aziende tecnologiche e ai suoi dipendenti dopo aver faticato inizialmente per tenere il passo con la trasformazione della comunicazione digitale. I funzionari della NSA, come scrive il Guardian, hanno più di una volta tenuto colloqui con i dirigenti delle più importanti aziende hi-tech al mondo per capire come migliorare i propri strumenti e reclutare persone attive nel campo dello spionaggio online.  

Saturday 15 June 2013

La Buona Strada

Museo diffuso Il più bello è a Milano

Milano contiene un piccolo segreto museale, anche se questo segreto ? appena rivelato ? diventa evidente: è il tessuto costituito da sei musei ai quali si accede facendo poche centinaia di passi dall'uno all'altro, e che non hanno bisogno più di tanto di bookshop, giftshop, coffeeshop e altre diavolerie anglosassoni, perché fra l'uno e l'altro troverete le librerie, i bar e le pasticcerie del centro. È un modello meneghino formidabile, che le amministrazioni cittadine tendono a dimenticare. Si parte dal bar Cova di via Montenapoleone, si gira a destra in via Sant'Andrea, in palazzo Morando il Museo di Milano, con una sorprendente collezione di paesaggi che narrano la città. Si gira in fondo in via Spiga e poi in via Santo Spirito: ecco il Bagatti Valsecchi, una gloriosa quanto ombrosa dimora della borghesia d'inizio del XIX secolo, con armature e un'eterea santa del Bellini. Si risale via Manzoni per il Poldi Pezzoli, una collezione dove la bulimia del fondatore ha lasciato raccolte d'una poetica infinita, e si attraversa per via Borgonuovo fino al Museo del Risorgimento: un saluto al mantello che portò Napoleone per l'incoronazione, e uno al mio parente Francesco Daverio, segretario dell'insurrezione del 1848! Si riscende via Verdi per il museino della Scala, delizia assoluta che consente anche di mettere il naso nel teatro. Sulla medesima piazza, le Gallerie d'Italia appena aperte, fresche e eccellenti. Altri 300 metri, la casa di Manzoni. E ditemi se è poco! Chiusura in corso Matteotti alla pasticceria del Sant'Ambroeus. I libri e i cataloghi alla Milano Libri, alla Feltrinelli, da Hoepli; i cataloghi storici da Bocca in Galleria. Il più bel Museo diffuso d'Europa.

Saturday 11 May 2013

Boom del fotovoltaico, ricerca statunitense

Boom del fotovoltaico, ricerca statunitense: agli italiani piace perché alleggerisce la bolletta
Pannelli Solari 

Gli italiani amano i pannelli fotovoltaici sui tetti delle proprie case e lo dimostra il continuo aumento della domanda. Ma il boom di richieste non è dovuto ad una coscienza ecologica dei nostri connazionali ma a semplici ragionamenti economici: il fotovoltaico rende più leggera la bolletta. Ad indagare la situazione del mercato italiano e l’atteggiamento dei proprietari di casa, ci pensa SunPower, azienda americana leader nella produzione di pannelli fotovoltaici, che ha svolto una ricerca interna rivolta ai suoi partner. In generale, i partner ammettono un generale interesse verso i temi dell’ecologia da parte dei proprietari di casa italiani, ma, a differenza di quelli esteri, li giudicano assolutamente poco propensi a spendere di più per motivi ambientali.
Nonostante l’approccio non proprio ambientalista, gli italiani restano comunque dei “buoni” clienti anche se lontani dai livelli tedeschi. “In Europa, infatti – spiega Julie Blunden, SunPower executive vice president of public policy and corporate communications – la Germania rimane il più grande mercato per l’energia solare, con, approssimativamente, 20.000 Mw installati. Se si pensa che un reattore nucleare ha una capacità di, approssimativamente, 1000 Mw si può capire facilmente l’enormità di questo dato. L’Italia, dal canto suo, risponde con potenza fotovoltaica installata di 5000 Mw”.
In particolare, l’Italia è riuscita a creare due canali di successo per la diffusione dell’energia fotovoltaica: “i pannelli da montare sui tetti e quelli montati al suolo. Entrambi i settori stavano dando buonissimi segnali di crescita – spiega Blunden aggiungendo che adesso – il Quarto Conto Energia, ha individuato, come unico settore di cui supportare lo sviluppo, quello dei pannelli fotovoltaici montati sui tetti”.
La Blunden di SunPower, che con 500 partner si posiziona al secondo posto nello scenario italiano, spiega che “uno dei migliori aspetti del mercato del bel paese è che i consumatori possono risparmiare denaro sulle loro bollette elettriche usando la propria energia solare nelle proprie case e, poi, vendere l’energia in eccesso alla rete. L’introduzione più recente è quella del sistema di riduzione degli incentivi progressiva”. Le tariffe per l’energia solare immessa nella rete dal singolo proprietario, dunque, “verranno ridotte ogni mese, cosa che dovrebbe incoraggiare i consumatori a investire nel solare il prima possibile. Tuttavia, senza un sistema di prenotazione dell’allaccio alla rete, la griglia di diminuzione mensile renderà i grossi impianti difficili da finanziare per il fatto che i tempi sono molto difficili da prevedere”. Ma sul futuro la Blunden non ha dubbi: “grazie al quarto conto energia, che ha fissato a 23 Gigawatt entro il 2016 il principale obiettivo nazionale, e assicurando una politica stabile, l’Italia diventerà uno dei paesi al top del fotovoltaico europeo”. E anche gli ultimi dati dell’Istat sono incoraggianti: solo sugli edifici comunali la potenza media, arrivata nel 2010 a 1,1 kw ogni 1.000 abitanti, ha registrato un incremento del 114,9% sul 2009.

Monday 6 May 2013

Bros: ecco il mio padiglione per l'Expo

Il primo padiglione di Expo 2015 si chiama Padiglione Natura ed e' la provocazione con cui Bros torna a colorare la città. Il noto writer e artista milanese si è infatti occupato di decorare la facciata dell'edificio di via Pinturicchio 4 nato per ospitare gli operai del cantiere incaricati della costruzione dell'adiacente complesso residenziale Carlo Erba. Righe verticali e orizzontali, tinte accesissime e regolari di rosso, blu, arancione, viola, fucsia. Come un mosaico ispirato alle bandiere di paesi inesistenti. Il padiglione ideale di un Expo che (ancora) non c'è.
Sopra la facciata infatti campeggia un'ironica scritta in polistirolo bianco: "Padiglione Natura by Bros". Un intervento del tutto legale, autorizzato e commissionato dalla società immobiliare responsabile dei lavori.
Questa sera, dalle 18 alle 21, Bros si e' inventato anche un'inaugurazione di strada, aperta a tutti, che come quest'ultima opera riflette sulla percezione dello spazio urbano che ci circonda. «Attraverso i colori, l'uso di questi smalti così diversi dai toni spenti di Milano, voglio invitare la gente ad alzare lo sguardo e ad accorgersi della città così com'è». Dentro l'edificio infatti non c'è nulla, quel che c'è da vedere è tutto nella facciata. Un invito insomma a riappropriarsi della vista di Milano senza per forza dover aspettare il grande evento.
Non è però una polemica con l'Expo, più che altro spero sia un'occasione per capire insieme quel che vorremmo fosse». Bros, dopo un lungo viaggio in Italia, 10mila chilometri tra paesaggi incontaminati, non ha alcuna intenzione di essere ricordato per quel semplice episodio. Prima del Padiglione Natura, aveva già colorato furgoni messi a disposizione da alcuni commercianti, felici macchie di colore nel traffico dei mercati.

È battaglia sul futuro dell'Aler

LA BATTAGLIA dell' Aler arriva in Consiglio regionale. Sul futuro dell' azienda lombarda per l' edilizia residenziale finita negli scorsi mesi nella bufera per una serie di scandali con l' accusa, tra l' altro, di essere diventata una sorta di "poltronificio" oggi si daranno battaglia maggioranza e opposizione. Da un lato, il centrosinistra che ha presentato una mozione in cui chiede una riforma che veda protagonisti gli enti locali trasformando le attuali Aler in Aziende di servizio per strapparle all' influenza dei partiti. Ricordando che finora, al contrario, i vertici e i consiglieri di amministrazione sono nominati dalla giunta regionale e il direttore dal cda su proposta del presidente dell' Aler. Dall' altra, Pdl e Lega che concordano sulla necessità di cambiare, ma propongono ricette diverse. Tra le varie voci quella dell' assessore regionale alla Casa, che ha annunciato il dimezzamento delle attuali 13 Aler provinciali e il commissariamento degli attuali vertici; quella che propone invece addirittura la fusione delle 13 aziende «in un' unica società di livello europeo». Mentre si inoltrano richieste di «evitare di procedere al rinnovo delle nomine nelle Aler». Inoltre, non è escluso che all' ultimo momento il centrodestra proponga una ulteriore mozione nel tentativo di trovare una conclusione. In sintesi si getta acqua sul fuoco, ma si conferma che la strada che intende seguire la giunta è quella proposta dall' assessore regionale alla Casa: «Sono certo che troveremo una soluzione che ponga fine al poltronificio che le Aler hanno rappresentato per troppo tempo. Al termine della proroga dei vertici prevista per legge nomineremo dei commissari che avranno sei mesi di tempo per attuare la riforma». Fino ad allora, però, le tredici Aler continueranno come prima. Il che significa 13 cda con 7 membri ciascuno. Più tre sindaci e altri tre consiglieri di vigilanza. Per un totale di 169 persone e un costo annuo di quasi quattro milioni di euro. Per non parlare dei 1.638 dipendenti in gran parte dirigenti. Nel frattempo, i sindacati degli inquilini denunciano aumenti ingiustificati degli affitti delle case Aler anche di 80 e 90 euro mensili. «Aler non ci ha mostrato capitolati e contratti che giustifichino l' aumento delle spese caricate sulle spalle di famiglie che già sono in difficoltà. Questo farà aumentare la morosità degli inquilini».

Sunday 10 February 2013

Libero più Virgilio: (ri)nasce Italia Online

La fusione fra i due portali segna il ritorno di uno dei primissimi brand del Web tricolore. L’obiettivo: sviluppare la migliore offerta pubblicitaria nazionale sfruttando l’audience congiunta dei rispettivi siti
Italia Online. A qualcuno questo nome non suonerà nuovo, soprattutto se letto dietro l’acronimo IOL. Stiamo parlando – per chi fosse troppo giovane o avesse la memoria corta – di uno dei primissimi siti italiani dedicati alla navigazione su Internet e alla configurazione della posta elettronica.
Da quell’esperimento primordiale, creato nel lontano 1994, sarebbe nato qualche anno più tardi Libero, ad oggi il più grande contenitore italiano di account email  (oltre 9 milioni le caselle attive) nonché uno dei portali più visitati dai nostri connazionali (oltre 13 milioni di visitatori unici al mese).
Oggi, a distanza di quasi 20 anni il brand torna a fare capolino sul Web, sancendo di fatto la fusione , avvenuta lo scorso mese di novembre, fra la stessa Libero e Matrix, società che controlla Virgilio, nonché le concessionarie di pubblicità Niumidia Adv, Iopubblicità e il servizio di informazioni 1254 .
In pratica, d’ora in avanti Italia Online sarà il brand che raggrupperà le attività di Libero e Virgilio, i cui siti resteranno comunque distinti nei rispettivi domini. Libero, rinfrescato nell’immagine e nel logo si focalizzerà intorno ai servizi online, mentre Virgilio continuerà a puntare sui contenuti e l’intrattenimento.
Pubblicità e servizi internet alle imprese saranno le aree di business su cui si focalizzerà la strategia commerciale del nuovo Gruppo. Che ha messo a fattore comune le rispettive concessionarie pubblicitarie - Libero Advertising (Libero) e Niumidia (Matrix) – per creare una società di advertising a livello nazionale (Italia Online ADV) e una per la pubblicità locale (IoPubblicità).
La proposta alle imprese verrà invece veicolata da It.Net, società che gestisce i data center che ospitano Virgilio e Libero, e che offrirà fra le altre cose servizi di cloud computing e soluzioni Internet per le realtà corporate e le piccole e medie imprese.




Libero compra Virgilio per sfidare Google


Dall'acquisizione nasce il primo player tricolore del mercato internet, che sfrutterà le sue capacità di parlare agli investitori locali per dare filo da torcere al colosso di Mountain View. L'operazione servirà a capire quanto spazio resta per una via italiana al business sul web  

In questa sonnacchiosa estate, una scossa tellurica ha risvegliato il web italiano: il portale Libero, già numero uno nel Bel Paese, ha deciso di rafforzare la sua posizione acquisendo da Telecom Italia la società Matrix, che a sua volta controlla Virgilio.it. L’Antitrust e l’Agcom dovranno dare il via libera, atteso entro novembre, ma è chiaro che questa operazione da 88 milioni di euro inciderà in modo sostanzioso sulle forze in campo e sulle evoluzioni dell’internet tricolore.
Libero e Virgilio, insieme, raggiungono ogni mese 18 milioni di visitatori unici, ovvero sono in grado di parlare a 6 utenti nostrani su 10. Totalizzano 3,5 miliardi di pagine viste ogni 30 giorni e contano 14 milioni di indirizzi mail attivi. La loro potenza di fuoco è dunque notevole. Ciò spiega perché, a livello di posizionamento, non andranno a competere con portali e operatori nostrani, ma potranno lanciare il guanto di sfida al colosso dei colossi, Google.
La pubblicità on line è un mercato ricco di potenziale, vale più di 1 miliardo di euro l'anno e la neonata realtà vuole conquistarsi una fetta non indifferente di questo business. Non è un’ipotesi: a dirlo è stato il grande demiurgo di questa operazione, Naguib Sawiris, presidente e Ceo di Weather Investments, la società che controlla Libero. Sawiris, magnate egiziano, ex numero uno di Wind di cui ancora detiene una quota di minoranza, ha parecchia fiducia nel fatto che in Italia si possa realizzare una «big thing» legata al web. «Da sempre» ha commentato «crediamo nelle straordinarie capacità e potenzialità di questa nazione. L’acquisizione dimostra la nostra volontà nel continuare a ricoprire un ruolo strategico in questo grande Paese».
Se analizziamo il modello di business dei due portali, Google ha qualche ragione per preoccuparsi. Libero e ancora di più Virgilio hanno un forte radicamento sul territorio e potrebbero essere in grado di far convogliare sui loro siti una buona quantità di pubblicità locale, incontrando il favore di piccoli investitori che, sommati insieme, darebbero numeri interessanti. Più immune da minacce pare invece Facebook, visto che l’advertising sui canali social segue logiche abbastanza autonome.

L’operazione messa in piedi da Sawiris risulta ancora più strategica se si pensa che assieme a Virgilio, si è aggiudicato ben due concessionarie, Niumidia ADV e Iopubblicità, presumibilmente con un buon pacchetto di clienti da condividere, e il servizio di informazioni 1254.
Altro target che si vuole colpire, e in questo caso forse la nuova realtà andrà un minimo a cozzare con gli interessi della stessa Telecom Italia, sono i servizi offerti alle piccole e medie imprese con una certa enfasi sul cloud. Tuttavia Telecom ha altre priorità: deve far cassa per ridurre le passività e questa cessione, strategicamente, non difetta dunque di coerenza.

I due marchi, per ora, resteranno separati. Non ci saranno né un «Virgero», né un «Libilio», per citare le orrende crasi che sono circolate in queste ore in rete. Comunque creeranno sinergie sin da subito. E li attende una sfida elettrizzante: dimostrare che su internet c’è ancora spazio per le particolarità locali e che una leadership non è necessariamente prerogativa dei grandi gruppi internazionali.

Saturday 25 August 2012

Ecco cosa ci aspetta con il nuovo conto energia

SPECIALE QUINTO CONTO ENERGIA

IL DECRETO QUINTO CONTO ENERGIA SARA’ IN VIGORE DAL PROSSIMO 27 AGOSTO
ECCO LE PRINCIPALI NOVITA’ IN 5 PUNTI

Il 27 agosto parte ufficialmente il Quinto Conto Energia, il recente sistema che definisce i nuovi incentivi per energia fotovoltaica e per le rinnovabili elettriche non fotovoltaiche (idroelettrico, geotermico, eolico, biomasse, biogas) che va a sostituire il Quarto Conto Energia, in vigore dal maggio 2011 e terminato lo scorso 12 luglio 2012. A partire da tale data, ossia dopo 45 giorni solari del raggiungimento del tetto di spesa di 6 milioni di euro, si attuano le regole di incentivazione previste dal decreto ministeriale del 5 luglio 2012. Per quanto riguarda invece gli impianti realizzati su edifici pubblici e su aree delle amministrazioni pubbliche, è stata accolta la richiesta delle Regioni, di far partire le nuove tariffe incentivanti dopo il 31 dicembre 2012.

Tetto di spesa

Al raggiungimento di 6,7 milioni di euro totali il decreto si disattiva; in altre parole, partendo da un tetto iniziale di 6 milioni di euro, annualmente verranno incentivati impianti ancora per una spesa di 700 milioni di euro.

Tariffe incentivanti

Decisamente abbassati gli incentivi, sia rispetto a quanto era previsto dal quarto conto energia, sia rispetto alle versioni ministeriali precedenti. Le tariffe saranno omnicomprensive dell’incentivo e della vendita dell’energia (nel quarto conto energia all’incentivo calcolato sulla produzione di energia, si sommava la vendita dell’energia stessa). C’è una tariffa a parte per l’autoconsumo. Ad esempio un impianto da 3 kW su tetto che rientri in esercizio nel primo semestre del nuovo conto avrà diritto ad una tariffa omnicomprensiva di 208 euro/MWh e a un premio sull’autoconsumo di 126 euro/MWh, nella precedente versione ministeriale i valori erano rispettivamente di 237 per l’omnicomprensiva e 155 per l’autoconsumo. Un'altra novità riguardante le tariffe incentivanti, che penalizza fortemente i piccoli impianti per autoproduzione dell’energia, è che l’accesso agli incentivi è alternativo alla possibilità di scambio sul posto: uno esclude l’altro insomma.

Accesso ai registri

Altra grande novità è l’obbligo per gli impianti superiori a 12 kW di iscriversi al registro GSE.
Sono invece esonerati dall’obbligo di iscrizione a registro per la richiesta degli incentivi: gli impianti sotto i 12 kW; gli impianti fotovoltaici tra 12 e 20 kW che accettino di ricevere una tariffa incentivante decurtata del 20%; gli impianti fino a 50 kW realizzati in sostituzione dell’eternit; gli impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative (fino al raggiungimento di un costo indicativo cumulato di 50 milioni di euro); gli impianti a concentrazione (sempre con tetto di 50 milioni); gli impianti su edifici e terreni della pubblica amministrazione (purchè realizzati con gara d’appalto pubblica e anche qui con un tetto di spesa di 50 milioni di euro). L’ottenimento degli incentivi è comunque subordinato all’inserimento in graduatoria da parte del GSE.

Impianti in sostituzione dell’Eternit

Speciali bonus sono destinati agli impianti che vadano in sostituzione delle coperture in Eternit. In questo caso sarà possibile, a differenza del quarto conto energia, cumulare due bonus previsti per la sostituzione dei tetti in amianto e per l’installazione di pannelli made in UE.

Oneri GSE

Sono previste infine, a differenza del quarto conto energia, spese di istruttoria e spese di gestione da corrispondere al GSE: 3 euro/Kw per impianti minori di 20 KW; 2 euro/kw per impianti maggiori di 20 kw; più un contributo di 0,05 centesimi di euro per ogni kWh di energia incentivata.


INCENTIVARE L’ENERGIA PRODOTTA CON I PANNELLI SOLARI: UN OTTIMO INVESTIMENTO NEL TEMPO

Un impianto fotovoltaico deve essere sempre preceduto da un buon progetto, indispensabile per massimizzare la resa dell’investimento. L’utilizzo di software dedicati consente di verificare se l’impianto fotovoltaico è sottodimensionato o sovradimensionato.

Il mercato fotovoltaico mondiale ha avuto notevoli sviluppi negli ultimi anni. La tecnologia fotovoltaica, insieme a quella delle altre fonti rinnovabili, viene infatti considerata come la fonte energetica del futuro che finirà per sostituire le fonti energetiche tradizionali. Per gli impianti fotovoltaici connessi alla rete sono previsti incentivi che vengono erogati su tutta l’energia elettrica da essa prodotta. L’idea di incentivare l’energia prodotta, più che l’impianto in quanto tale, è stata ereditata dai paesi in cui il fotovoltaico ha conosciuto una crescita esponenziale negli ultimi anni, primo tra tutti la Germania. Questo sistema presenta diversi benefici. In primo luogo non si investono più soldi a fondo perduto per impianti che, spesso, non venivano neanche realizzati, o venivano installati male. Inoltre, il fatto di ricevere un incentivo sull’energia prodotta è un ottima motivazione alla realizzazione di impianti di qualità, basati su un progetto solido e che utilizzano esclusivamente materiali di alto livello. L’uso di apparecchiature ad alta efficienza che non disperdono l’energia prodotta, la giusta disposizione degli impianti, la previsione corretta della produzione di energia, sono tutti i punti di forza che rendono questo investimento redditizio.
Se l’impianto risulterà sottodimensionato, l’utente dovrà pagare la differenza tr Kwh consumati e quelli prodotti. Nel caso di impianto sovradimensionato, l’utente andrà in credito di energia, di cui potrà usufruire nei 3 anni successivi. Ultima novità del fotovoltaico è quella implementata dall’agenzia produttrice di Moduli-V Energy di Biella: un pannello fotovoltaico con caratteristiche cromatiche ed architettoniche che consentono l’installazione dell’impianto laddove ci sono vincoli di regolamentazione edilizia e di salvaguardia dei beni culturali. La Pasqua impianti di Genova ha realizzato il primo modello in Italia di questo genere di pannello.

IMPIANTI NON INTEGRATI, PARZIALMENTE INTEGRATI ED INTEGRATI

Il Conto Energia consente di rivendere all’Enel per 20 anni l’energia prodotta, immettendola nel contatore

Il conto energia è il decreto che stabilisce un incentivo per 20 anni per privati, imprese ed enti pubblici che installano un impianto solare fotovoltaico connesso alla rete elettrica (grid connected). L’incentivo è proporzionale all’energia prodotta. Le tariffe incentivanti variano a seconda della tipologia di impianto e in base a dove viene installato. Ci sono tre tipologie di impianti: da 1 a 3 Kwp (kilowatt di potenza); da 3 a 20 Kwp; oltre 20 Kwp. Esistono tre tipi di installazione: impianti non integrati, quando l’installazione è isolata rispetto agli edifici; impianti parzialmente integrati, quando l’installazione avviene su un elemento architettonico già esistente (es. un tetto); impianti integrati, quando vengono realizzate strutture architettoniche ad hoc per elementi fotovoltaici.

Friday 24 August 2012

Estate 2012, fuga dalle vacanze più della metà degli italiani a casa

Wednesday 15 August 2012

Un piccolo jazz festival molto cool

E nella rassegna jazz, spuntano anche i «ladri» dei Police

Spesso avviene che siano le piccole località ad appassionarsi agli eventi culturali e a farli crescere nel tempo, incuranti delle mode e delle crisi. Tremezzo, sulla sponda occidentale del Lago di Como quasi di fronte a Bellagio, organizza da ormai undici anni un «Jazz Festival & Dintorni» gratuito che quest' anno si svolge da domani a sabato, con due appuntamenti di rilievo per sera. Si comincia domani con la serata più internazionale: in apertura il trio del contrabbassista russo Yuri Goloubev, seguito dal gruppo The Minus One del sassofonista americano Michael Blake. Entrambi molto affezionati all' Italia, hanno formato gruppi con musicisti di casa nostra; il moscovita Goloubev, formidabile virtuoso con importanti trascorsi nel mondo classico, si è trasferito nel nostro Paese e da due anni guida un gruppo con il chitarrista Massimo Vescovi e il batterista Marco Zanoli; il canadese Blake, da tempo cittadino di New York, ha trovato una propria dimensione con il contrabbassista Stefano Senni e il batterista Tommaso Cappellato, titolari assieme a lui di The Minus One. E significativamente in entrambi i casi il jazz che esce dai gruppi è fortemente contemporaneo e «internazionale», ricco di richiami ad altri sofisticati generi musicali. Il pianoforte è il protagonista della serata di venerdì 17, a iniziare dalla performance solitaria del veterano Gaetano Liguori, sulle scene dai primi anni Settanta, che attraverserà una personale rilettura della storia del jazz; a seguire il pianista Dado Moroni, solidissimo conoscitore del proprio strumento apprezzato da tutti i grandi protagonisti americani, intreccerà le idee con quelle di Rosario Giuliani, fuoriclasse del sassofono contralto molto stimato anche in Francia. Per finire, sabato 18, una serata più vicina alle melodie tradizionali, viste da prospettive piuttosto diverse. Il gruppo The Thieves (Tullio e Marco Ricci a sassofono e contrabbasso, con Alberto Tafuri al basso e Maxx Furian alla batteria) «ruba» creativamente il repertorio a Sting e ai Police, come nel suo recente e applaudito album; conclude un altro duo, formato dalla pianista Rita Marcotulli e dal fisarmonicista Luciano Biondini, in un programma intitolato «Variazioni sul tema» che rivisita le musiche scritte dalla pianista per il film «Basilicata Coast To Coast», ma rilegge anche i suoi ben noti omaggi a Truffaut e brani celebri dei Pink Floyd.

PalaAJ per la "casa" dell'Armani Jeans

Ha rischiato di sprofondare nelle sabbie mobili dell'abbandono. Con quelle porte sbarrate per mesi che hanno fatto risuonare l'allarme. Con quel pericolo, sempre in agguato, di essere dimenticato. Eppure, dopo cinquantun anni di storia, il futuro del Palalido è racchiuso in quei 160 giorni che serviranno per trasformarlo in un'«astronave» da 5.420 posti. Infatti il tempio del basket milanese, se non ci saranno altri ostacoli sul cammino, risorgerà la prossima primavera, quando i «giganti» dell'EA7 calcheranno il suo parquet. Pierfrancesco Barletta, numero uno di Milanosport, assicura che il cantiere aprirà negli ultimi giorni di settembre, mentre la fine lavori è confermata tra la fine di febbraio e le prime settimane di marzo 2013. In mezzo cinque mesi e mezzo di lavori per cambiare pelle a questo luogo simbolo dello sport di Milano.

Inaugurato nel 1961, il glorioso impianto, che ha fatto da palcoscenico ai campioni dei canestri (da quelli eroici della Simmenthal ai funambolici Harlem Globetrotters americani), a numerosi concerti (dai Rolling Stones a De Gregori e Vecchioni) ed è stato persino utilizzato come moschea dai musulmani di Milano, o per convention religiose, o per incontri come quello con il Dalai Lama, non resterà una cattedrale nel deserto metropolitano come si è temuto. Perché in tempi di spending review, la ristrutturazione, che trasformerà il vecchio palasport di piazza Stuparich, con una capienza attuale di 3.250 posti, in una avveniristica struttura, rischiava di rimanere impantanata nell'immobilismo dell'austerity imposta da Palazzo Marino.

La rinascita del Palalido però non prevede soltanto un aumento della capienza, ma anche l'aggiunta di due tribune mobili, nuovi spogliatoi e un tetto non più in amianto ma sostituito da una struttura reticolare in acciaio, che sarà idealmente sospesa nello spazio grazie all'effetto prodotto dalle fasce trasparenti. La rinascita porterà con sé anche un cambio di nome: il palasport sarà ribattezzato PalaAJ, alias Armani Jeans. È chiaro che, con un nome così, l'attività principale del futuro Palalido sarà la pallacanestro. Infatti su quel parquet le «Scarpette rosse» si alleneranno e giocheranno le partite di campionato; così come rimbalzerà la palla a spicchi delle squadre giovanili dell'Olimpia.

Thursday 26 July 2012

Il record della barca solare

Da Cremona a Venezia e ritorno. Il catamarano solare Argo, costruito dall' associazione cremonese Asvea e alimentato da 16 pannelli solari, ha percorso 330 chilometri sulle acque del Po in completa autonomia, raggiungendo la velocità di punta di nove nodi. Un record.

Wednesday 21 September 2011

Google Plus apre al pubblico. E punta tutto sui canali video.

Parla il "padre" del social network, Vic Gundotra. "Dopo novanta giorni entriamo nella fase beta aperta a tutti. Ora sarà possibile chattare con i propri amici anche via cellulare e trasmettere in diretta i propri messaggi a milioni di persone"

Novanta giorni di passione, punteggiati da record 1 che hanno spaventato un colosso come Facebook. E ora Google + 2, il social network di Mountain View, diventa pubblico aprendosi a chiunque voglia entrarci. Durante la prima fase sperimentale, l’accesso avveniva solo su invito, Mark Zuckerberg e compagni lo hanno visto crescere con preoccupazione, tanto da correre ai ripari per tentare di arginarlo a colpi di modifiche, migliore, nuovi servizi. Ma anche dall’altra parte non sono stati da meno.

"Dalla nascita di Google + ad oggi abbiamo apportato oltre cento cambiamenti", spiega Vic Gundotra, vice presidente nella multinazionale fondata da Larry Page e Sergey Brin e fra i "padri” del social network. "E’ un progetto ancora allo stadio iniziale –spiega-, ma stiamo tentando di portare dentro un software le sfumature e la ricchezza della vita reale". E costruire così un business, aggiungiamo noi, che domani varrà miliardi di dollari.

I numeri. I numeri sono incoraggianti. Quelli ufficiali parlano di un miliardo di contenuti condivisi ogni giorno, quelli non ufficiali di circa 25 milioni di utenti già attivi su Google Plus. "Erano dieci milioni a giugno", racconta Gundotra, "e da allora posso confermare che sono cresciuti costantemente". Tre giorni fa è stata anche aperta agli sviluppatori di applicazioni, con il rilascio delle Api (Application Programming Interface) per permettere di creare applicazioni sul social media. Uno dei punti di forza del concorrente Facebook 3.

"La differenza con Facebook – continua il vicepresidente di Google -, sta nella possibilità di avere diversi livelli di condivisione con conoscenti, amici, parenti. I 'circoli' funzionano in maniera più accurata dei contatti di Facebook. Ma oggi annunciamo anche tre grosse novità: la possibilità di parlare via videoconferenza con nove presone differenti anche da cellulare, il poter condividere documenti e lavorarci con altri in diretta e l’introduzione di un motore di ricerca interno al social network".

I videoritrovi diventano mobili. Partiamo dai video, che fra le tre novità che accompagnano l’apertura al pubblico di Google + è forse la più interessante. L’estensione del 'videoritrovo' (videochat collettive) ad Android, sistema operativo per smartphone dell’azienda californiana e a breve anche all’iPhone, è un passaggio inevitabile considerando quanto il mondo mobile stia diventando importante. Ma l’utilizzo delle comunicazioni video dentro Google + si spinge oltre.

Nei novanta giorni appena passati c’è chi ha tenuto dei concerti e ora sarà anche possibile condividere documenti o disegnare mentre si parla. Dunque i videoritrovi diventano uno strumento gratuito per riunioni a distanza.

La nascita dei canali video fai da te. Ma non è finita qui. Chi volesse parlare a un pubblico più ampio che superi la sua cerchia di conoscenti, o viceversa volesse semplicemente assistere da spettatore, potrà sfruttare la nuova funzione per le trasmissioni pubbliche chiamate 'videoritrovi in diretta'. Si tratta di veri e propri canali all’interno del social network. "Ci aspettiamo che a breve diventino un vero fenomeno", sottolinea il vicepresidente di Google. "Sarà possibile per milioni di persone seguire eventi dal vivo e condividere poi il filmato sul proprio profilo". Facile immaginare sermoni ascoltati da migliaia di fedeli, comici che avranno milioni di fan pronti a seguirli in diretta, o ancora politici che potranno annunciare dal loro profilo le decisione prese.

Il funzionamento è semplice: basta aprire un normale 'videoritrovo' e si avrà la possibilità di trasmettere e registrare la propria sessione. Una volta “in onda”, possono partecipare attivamente fino a nove persone (come nella versione standard), ma chiunque può assistere alla diretta. La pubblicità? "Per ora non abbiamo un modello per la vendita pubblicitaria su Google +", puntualizza il "padre" del social network. "Ma certo, è uno degli aspetti che presto affronteremo".

Il motore di ricerca. "Abbiamo anche aggiunto la ricerca interna", prosegue Vic Gundotra. "Si digita ciò che si vuole nella casella di ricerca e verranno visualizzati tutti i risultati pertinenti relativi a persone e post, ma anche a contenuti sul web". Se si ha la passione per la cucina, tanto per fare un esempio, si troveranno quindi ricette, consigli e gli chef presenti sul social network.

Insomma, com’era prevedibile tutta la potenza di Google si sta riversando un pezzo alla volta su suo social network. E alla fine la differenza con Facebook sta tutta qui. I suoi 750 milioni di utenti sono ancora una meta molto lontana per Google +, eppure a Mountain View sono fiduciosi. "Non rilasciamo mai i dati relativi all’entità dei team di sviluppo che lavorano a un determinato progetto”, conclude Gundotra. "Ma posso dire che oggi a Google è più facile contare chi non lavora a Google + piuttosto di chi è coinvolto in questo nuovo progetto".

Tuesday 13 September 2011

Scandalo Bettencourt nuove ombre su Sarkozy

La storia In un libro le presunte accuse dell' infermiera, lei però nega


«Una mazzetta dall'erede L'Oréal». L' Eliseo smentisce


PARIGI - Con la pace fatta a gennaio tra la madre Liliane e la figlia Françoise l' affare Bettencourt - che tormenta la vita politica francese dal 2007 - sembrava finalmente archiviato. Non è così. La giudice Isabelle Prévost-Desprez chiama ora in causa direttamente il presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy: «L' infermiera di Liliane Bettencourt, dopo essere stata sentita da me, ha confidato alla mia cancelliera: "Ho visto dare dei contanti a Sarkozy, ma non potevo metterlo a verbale"». «Questo processo rappresentava per l' Eliseo un rischio enorme - continua la giudice -. Bisognava sottrarmi il dossier, a tutti i costi. Era imperativo farmi fuori». Isabelle Prévost-Desprez, infatti, venne messa fuori gioco il 17 novembre 2010, quando tutta l' inchiesta è stata trasferita da Nanterre a Bordeaux in seguito al conflitto scoppiato tra lei e il collega Philippe Courroye, vicino a Sarkozy. La testimonianza della Prévost-Desprez è contenuta nel libro «Sarkozy m' a tuer» (Sarkozy mi ha ucciso, con voluto errore ortografico) uscito oggi in Francia e scritto da due giornalisti di Le Monde che hanno raccolto le storie di una trentina di persone (magistrati, poliziotti, alti funzionari, politici, gente comune) cadute in disgrazia per essersi opposte al presidente. Non è la prima volta che Sarkozy viene accusato di avere, in epoca pre-presidenziale, intascato soldi dalla famiglia Bettencourt, direttamente o tramite i servigi di Eric Woerth, allora tesoriere del partito Ump, poi nominato ministro del Lavoro e costretto alle dimissioni nel novembre scorso. L' ex contabile dei Bettencourt, Claire Thibout, raccontò l' anno scorso di 150 mila euro affidati a Woerth e probabilmente destinati alla campagna elettorale di Sarkozy. Poi la Thibout ritrattò in parte la sua testimonianza, e oggi denuncia le pressioni degli uomini vicini al presidente per farle cambiare versione. Ieri, dopo il grande clamore delle rivelazioni anticipate da Libération , l' infermiera chiamata in causa dalla giudice Prévost-Desprez ha poi negato di avere parlato alla cancelliera di contanti visti in mano a Sarkozy. Ma ha confermato il clima di paura che circonda l' affare: «Dopo la mia testimonianza arrivarono le minacce di morte. Mi dissero che il mio corpo sarebbe stato ritrovato nella Senna». A parte la lite tra madre e figlia, la circonvenzione d' incapace praticata su Liliane dall' inquietante fotografo François-Marie Banier e la colossale evasione fiscale, con «Sarkozy m' a tuer» torna a riaffacciarsi l' ipotesi di finanziamento illegale dei partiti, del quale avrebbe beneficiato il futuro presidente. «Accuse infondate, menzognere e scandalose», ha smentito ieri l' Eliseo. E il premier François Fillon: «Mi auguro che i procedimenti in corso pongano rapidamente termine a manipolazioni infondate che si spiegano solo con il periodo pre-elettorale». A sette mesi dal voto presidenziale, il risorgere dello scandalo Bettencourt offre un po' di respiro a una sinistra ancora turbata dal caso Strauss-Kahn. «Troppe pressioni - ha detto il favorito socialista, François Hollande -. Questo libro rivela che all' Eliseo sarebbe attiva una cellula che manovra perché alcuni scandali vengano cavalcati, e altri insabbiati». Il presidente Nicolas Sarkozy ieri ha lasciato che a difenderlo fosse il governo e non si è espresso direttamente sulla questione. Piuttosto, ha colto l' occasione dell' annuale conferenza degli ambasciatori per rilanciare il suo attivismo internazionale. Sarkozy ha preferito rivolgersi minaccioso a Ahmadinejad e Assad. Quanto al primo, «le ambizioni militari, nucleari e balistiche dell' Iran costituiscono una minaccia crescente che potrebbe condurre a un attacco preventivo contro i siti iraniani». E Sarkozy alza i toni contro la Siria: «Il potere a Damasco sbaglia se crede di essere al riparo dalla volontà del suo popolo. La Francia, con i suoi alleati, farà tutto ciò che è legalmente possibile perché trionfino le aspirazioni del popolo siriano alla democrazia». Lo sguardo presidenziale non si abbassa sul libro con le storie degli sconfitti di casa.


La vicenda Il caso Françoise Bettencourt denunciò nel 2007 per circonvenzione di incapace François-Marie Banier.


La donazione Il fotografo Banier, amico della madre di Françoise, aveva ricevuto dall' anziana donna un miliardo di euro.


L' indagine Liliane Bettencourt è anche accusata di evasione fiscale in Svizzera: sarebbe stata aiutata dalla moglie del ministro del Lavoro Eric Woerth. Il presidente Sarkozy è stato già accusato in passato di avere intascato soldi dalla famiglia Bettencourt in epoca pre-presidenziale, direttamente o tramite i servigi di Eric Woerth, allora tesoriere del partito Ump.

Giorgio Stoppino il poeta del Design

Tre compassi d'oro: uno per la credenza Sheraton (Acerbis, 1979), uno per il sistema di maniglie Alessia (Olivari, 1991), l'ultimo alla Carriera assegnatogli appena un mese fa dall'Adi (l'associazione del design italino di cui era stato anche presidente durante il triennio 1982-1984). E ancora la lampada 537 per Arteluce (1967), disegnata con Vittorio Gregotti e Lodovico Meneghetti (suoi primi compagni di avventura) attualmente nella collezione del MoMa di New York dove era stata esposta nell'ambito della mostra "Italy: the new domestic landscape" (1972). E la credenza Sheraton in quella del Victoria and Albert Museum di Londra.
La carriera di Giorgio Stoppino, da poco scorparso (natio di Vigevano e rimasto sempre legatissimo alla sua cittadina) non è stata priva di riconoscimenti, ma è rimasta nell'ombra. Come nell'ombra è avvenuta la sua scomparsa: da tempo era ricoverato all'istituto Redaelli di Milano per problemi di salute e qui gli era arrivata anche la notizia di quel premio alla carriera, oltretutto giunto dopo la morte dell'amata moglie, e collaboratrice, Deda (con lui aveva vissuto più di quant'anni). Una solitudine in parte legata alle leggi di un architettura che oggi vuole certo più il personaggio che il buon progetto, ma che Stoppino aveva aveva incrementato con quel suo carattere non facile, solitario e orgoglioso. Una vicenda, quella di Stoppino, di una certa ritrosia low-profile tipica del design italiano, soprattutto milanese.
Allievo di Ernesto Nathan Rogers al Politecnico di Milano, considerato uno degli esponenti del cosidetto Neoliberty, Stoppino aveva fondato nel 1953 con Vittorio Gregotti e Lodovico Meneghetti lo studio Architetti Associati (prima a Novara, poi a Milano): da quella collaborazione sarebbe nata, tra l'altro, la poltrona Cavour nel 1960 (SIM-Poltrona Frau), considerata uno dei simboli dello stesso movimento Neoliberty. Nel 1968 la decisione di metter su uno studio indipendente. E mentre Gregotti avrebbe scelto la via della progettazione architettonica "in grande scala" e Meneghetti quella dell'insegnamento accademico, Stoppino si sarebbe invece dedicato quasi esclusivamente alla progettazione di oggetti: la famiglia di sedie e tavoli Maia per Bernini (1969), il portariviste per Kartell (1971), la lampada del tavolo Drop 1 per Tronconi (1976), la famiglia di tavoli Acerbis.

Monday 12 September 2011

L'indagine I-Com ed Enea. Buone pubblicazioni, brevetti quasi inesistenti

Energia: siamo i primi negli incentivi e gli ultimi nella ricerca
Il Commissario Lelli: «Per cambiare le cose occorre un piano nazionale»

Per l'energia l'Italia ha conquistato un doppio record in Europa: siamo al top negli incentivi alle fonti rinnovabili e in fondo alla scala per gli investimenti nella ricerca del settore. Questo è il primo dato che emerge da un rapporto dedicato all'innovazione energetica i cui dettagli saranno presentati al Festival dell'Energia di Firenze il 23 settembre prossimo. L'indagine è stata preparata dall'Istituto per la competitività (I-Com) di Roma e offre un interessante confronto internazionale per l'evoluzione dell'ultimo decennio e le nuove tendenze maturate.

BREVETTI - Un secondo dato che salta all'occhio, e denso di significati, riguarda il numero delle pubblicazioni dei nostri ricercatori e delle domande di brevetto presentate nel 2010 all'European Patent Office. Per le prime siamo in una posizione media, invece per i brevetti drammaticamente arretrati. La Corea del Sud, che è al secondo posto nella classifica dopo gli Stati Uniti, ne ha 1.175 mentre noi raggiungiamo la timida cifra di 95; un decimo della Germania, meno di un terzo della Francia e al di sotto anche della Spagna.

INVESTIMENTI - Se siamo abbastanza bravi nel produrre lavori teorici, come mai questi non riescono a tradursi in proposte concrete che l'industria possa sfruttare? Una prima spiegazione è nascosta nel basso livello degli investimenti privati rispetto agli altri Paesi: 466 milioni di dollari nel 2009, un livello di spesa ben inferiore alle altre nazioni più ricche di risultati. Ma non è soltanto questa la causa. Accade infatti che la ricerca pubblica (570 milioni di dollari sempre nel 2009) generi soluzioni teoriche che rimangono sulla carta senza compiere il successivo passo verso la fase brevettuale che richiede un lungo e costoso impegno. Mancano, cioè, canali di scambio tra pubblico e privato. Questo è un male che ci trasciniamo da decenni e praticamente nulla si è fatto per curarlo. Tra università, enti vari e industrie si continua a parlare poco o nulla.

PUBBLICAZIONI - Vediamo qualche dettaglio nel bene e nel male. Nel 2010 su una trentina di riviste internazionali di maggiore importanza i nostri ricercatori hanno pubblicato la maggiore quantità dei loro studi sulle tecnologie fotovoltaiche (16) e per lo stoccaggio di energia (15). In entrambi i campi gli Stati Uniti, che sono in prima posizione, ne hanno stampati appena circa tre volte di più. Nei brevetti ci si è concentrati su fotovoltaico e solare termodinamico ma con numeri da titoli di coda rispetto agli altri. Nelle indagini sulla geotermia, invece, assieme alla Corea, primeggiamo.

RISORSE - Scorrendo i dati del decennio a livello internazionale ci si rende conto di due fatti. Il primo riguarda un aumento delle risorse economiche dedicate. Il secondo denota un cambiamento nella ripartizione. Nel Duemila gli investimenti pubblici erano il 62 per cento di quelli privati, nel 2009 sono diventati il 175 per cento. Il contributo pubblico è cresciuto enormemente e «il fenomeno - sottolinea Stefano da Empoli, coordinatore del rapporto - si è intensificato quando la crisi dell'economia ha spinto i governi a un maggior intervento diretto per compensare la contrazione delle disponibilità private». Infatti in Europa (ma non in tutti i Paesi) e negli Stati Uniti sono scese del 7,3 per cento mentre in Giappone solo dello 0,3. Nell'Unione gli investimenti privati dei tedeschi resistono alla crisi e in generale Francia e Germania sono i più impegnati su questo fronte. Per quanto riguarda l'Italia l'orientamento è mutato notevolmente. Nel Duemila il 40 per cento della spesa era rivolto al nucleare, oggi è in testa l'efficenza energetica (22,8%) seguita da nucleare (20,4%), combustibili fossili (15,7%) e fonti rinnovabili (10,3%).

PROGRAMMI - «Per facilitare lo scambio di conoscenze abbiamo siglato da un paio di mesi un accordo con Confindustria ma le domande che arrivano dalle aziende sono molto poche - nota Giovanni Lelli, prima direttore generale dell'Enea e ora commissario -. Nel fotovoltaico e nel solare termodinamico in Italia si sono ottenuti dei risultati e c'è qualche società che si sta muovendo. Tuttavia per cambiare le cose occorre un programma nazionale sull'innovazione energetica che agisca da regia assegnando incentivi che stimolino secondo precise direzioni il mondo produttivo. L'uso degli incentivi ha senso se è rivolto anche alla crescita delle capacità tecnologiche creando vantaggi industriali ed economici». L'Enea è l'unico centro di ricerca italiano per l'energia, ma da tempo immemorabile è commissariato. È una prova di come la politica affronti queste necessità.

Le 200 Harley sulle Dolomiti: «Uno scempio», «no, turismo»

Potrebbe essere ribattezzata «centauromachia». È la battaglia nata in questi giorni sulle Dolomiti per via della tappa di Canazei del Legend Tour 2011 organizzato dalla Harley Davidson di Bolzano. Un evento che inizia oggi e che consentirà, tra l’altro, di far provare gratuitamente la gamma della Casa di Milwaukee. A far discutere, però, è un serpentone con 200 moto che, in due fasi, attraverserà passi incantevoli come il Passo Giau o il Pordoi.
Del resto l’Harley o si ama o si detesta. Lenta è lenta, pesante è pesante, costosa è costosa ma è semplicemente una leggenda con 108 anni di storia. Consacrata da film indimenticabili come Easy Rider con Jack Nicholson e Peter Fonda.Nulla è normale nel mondo dell’Aquila. I piloti si chiamano biker e non guidano ma vivono on the road. La bicilindrica a stelle e strisce, negli ultimi anni, ha conquistato star come Brad Pitt e George Clooney; ex presidenti degli Stati Uniti come George W. Bush e piloti come Michael Schumacher. Con buona pace degli stereotipi che vedono i ribelli harleysti «brutti, sporchi e cattivi».
Malgrado ciò, l’idea che centinaia di biker guidino sui passi ha fatto storcere il naso a molti ambientalisti. Michl Laimer, assessore della provincia di Bolzano all’Ambiente è uno di questi. «Non ho nulla contro le moto o le Harley ma organizzare un raduno nel cuore delle Dolomiti è sbagliato e contrario alla filosofia che sta alla base del riconoscimento di patrimonio naturale dell’Umanità dell’Unesco. Sono disposto a incontrare gli organizzatori per spiegare il mio punto di vista e trovare in extremis altre location più idonee». Anche l’ambientalista locale Michil Costa ha preso carta e penna e ha scritto alla fondazione Dolomiti dell’Unesco per chiedere di prendere posizione contro il motoraduno. «Noi non possiamo interdire nulla perché il nostro compito è quello di valorizzare e tutelare i beni. Per interdire bisogna rivolgersi alle autorità preposte. Però mi chiedo se sia giusto tout court che si svolga un raduno simile sulle montagne. A prescindere dalla nostra tutela. Perché o è moralmente lecito svolgerlo a Canazei, Cortina o Cervinia o non lo è mai. La bellezza e il silenzio delle montagne avvicinano a Dio e va rispettato».
Di parere opposto è Daniel Gepert, responsabile dell’evento. «Ogni giorno su queste strade circolano oltre 2 mila mezzi e mi vogliono dire che il problema sarebbero 150-200 moto in più in un week end? Tra l’altro le nostre sono moto in regola con le direttive europee sull’inquinamento. In più, ci sarà un ritorno economico. I centauri arriveranno non solo da tutta Italia ma anche da Austria, Svizzera e Germania. Si fermeranno a mangiare e dormire nelle strutture turistiche. Osvaldo Finazzer, albergatore e guida del tour, spiegherà prima di partire per il giro la bellezza dei luoghi che incontreranno. I nostri clienti sono abituati a viaggiare molto e rispettare la natura. Sono anche certo che molti torneranno d’inverno a sciare».

Saturday 10 September 2011

Due detective e un fantasma. Così Jobs conobbe la sorella.

La storia Nel 1986 lei stava scrivendo il primo bestseller. Lui era già il genio della Apple



La cena dopo la ricerca del papà che li aveva abbandonati Steve era nato due anni prima di Mona ed era stato dato in adozione a una coppia californiana



Questa è una storia sorprendente, una storia conosciuta a pochi e una storia molto americana, accaduta quando a New York - poco dopo la metà degli anni 80 - Andy Warhol teneva spettralmente corte nei ristoranti alla moda di Downtown, i mercanti d' arte si litigavano i quadri di Jean-Michel Basquiat, e i lettori e i critici, per una volta d' accordo, incoronavano star letteraria dell' anno una ragazza di ventinove anni che si chiamava Mona Simpson e aveva appena pubblicato un bel romanzo d' esordio intitolato «Anywhere but here» («Dovunque ma non qui», nell' edizione Mondadori). Ricordo ancora come cominciava: due parole seguite da un punto che ai miei occhi portavano la firma di Gordon Lish, l' editor che sarebbe stato riconosciuto - non senza polemiche e strascichi - come l' inventore del minimalismo americano. Erano gli anni in cui Lish, lavorando alla Knopf, infieriva genialmente sulla prosa di Raymond Carver - ma anche di altri - mozzando interi paragrafi e facendo strage di aggettivi e avverbi che non corrispondevano alla sua estetica inflessibile. Non so se fosse sua o di Mona Simpson la scelta dell' incipit di «Anywhere but here»: «We fought». Ma so che suonava più aggressivo del nostro «Litigavamo», e che aveva il sapore e l' intenzione di una di una sfida. Quella di raccontare il turbolento rapporto tra una ragazzina dodicenne e la sua giovane madre, che a bordo di una Lincoln Continental fuggono da un' esistenza mediocre attraverso un' America assolata e poco ospitale. Il padre della ragazzina le aveva abbandonate. Era un romanzo che colpiva, letterario e muscoloso, ma in Italia sarebbe passato inosservato. Accade dunque che a New York, nel dicembre del 1986, Mona Simpson dà una cena nel suo appartamento dell' Upper West Side per una dozzina di persone, tra cui i miei migliori amici - lui scrittore, lei storica dell' arte - che mi estendono l' invito. C' è l' aria calorosa di una celebrazione in famiglia (la famiglia dei giovani newyorkesi sradicati, cioè il giro degli amici stretti), e a tavola mi accorgo di conoscere tutti i presenti, tranne un ragazzo a cui do non più di venticinque anni (ne aveva qualcuno di più), che siede davanti a me ed è troppo sicuro della propria intelligenza per essere simpatico. Ha un grande ciuffo di capelli neri e porta i jeans e un maglione scuro. Quando parla col mio vicino di destra - il giovane scrittore con cui sono arrivata - lo fa con l' aria di volerlo sfidare - anzi, di volerci sfidare tutti. Viene dalla California, e tutti quei giovani brillanti che chiacchierano dando per scontato di essere al centro del mondo perché vivono a New York, gli danno fastidio. Il suo argomento è un' ipotetica superiorità della California. Il mio vicino di destra ci casca e la conversazione diventa tesa. Il giorno dopo alle dieci ricevo una telefonata. È Jenny, l' unica degli amici stretti che la sera prima non è potuta venire, che chiede: «Allora, come ti è sembrato il famoso fratello di Mona?». Capisco subito che si riferisce al ragazzo che a tavola mi sedeva davanti, anche se Mona è bionda, sottile e angolosa, e lui non le somiglia affatto. «Perché famoso?», chiedo. E quando Jenny me lo dice confesso di rimanere perplessa. Il mio orizzonte di conoscenze è, evidentemente, molto limitato. Ed ecco la storia che avevo promesso, quella sorprendente, conosciuta a pochi e molto americana. È la storia di una ragazza (Mona Simpson) abbandonata dal padre quando ha cinque anni e afflitta da un rapporto conflittuale con la madre, che mentre scrive un romanzo autobiografico sulla propria infanzia («Anywhere but here») decide di rivolgersi a un detective privato per rintracciare il padre scomparso. Il detective lavora a lungo ma alla fine deve confessare di non essere riuscito a trovare neanche una traccia di quell' uomo. Quello che ha trovato, invece, è un altro detective che nella West Coast sta cercando da anni invano la stessa persona per conto di un altro figlio. Così Mona scopre di avere un fratello, nato due anni e mezzo prima di lei, che è stato dato in adozione a una coppia californiana. Gente modesta: il padre adottivo del ragazzo è un meccanico. Mentre Mona si fa strada all' università e approda a New York alla Columbia, il fratello abbandona il college, parte per un viaggio in India e quando torna si mette a trafficare in garage. Lei scrive un bestseller, lui inventa la Apple computers. Considerato che stiamo parlando del 1986, la sera di quel party nell' Upper West Side Steve Jobs era già stato estromesso dalla Apple (l' avrebbe riconquistata nel 1997), e si trovava nella bizzarra posizione di un genio che ha fallito. Forse per questo, rifletto mentre parlo con Jenny al telefono, la sera prima era così competitivo e risentito. «He' s a has been», dicono gli americani dei prodigi che non mantengono la promessa. È un' espressione meravigliosamente cinica per dire che una persona importante non conta più nulla. Non so se ho sognato che qualcuno l' abbia detto di Steve Jobs quella volta. Ma se penso a tutto quello che quel ragazzo arrogante ha fatto da quella sera di dicembre ad oggi, è di un' ironia ancora più sublime, e mi piace pensare che sia andata così.



Lui Informatico Steve Jobs (1955) è il creatore della Apple Computer, fondata nel 1976, a soli 21 anni. Nel 1985 lascia l' azienda, per poi tornare nel 1996 per risollevare le sue condizioni. Al momento, Jobs ha preso un periodo di congedo dalla sua carica di direttore operativo a causa di gravi problemi di salute, che lo avevano portato a ritirarsi per alcuni mesi già nel 2009. Jobs è anche membro del consiglio d' amministrazione della Disney. Nel 2010 è stato nominato persona dell' anno dal Financial Times. Status Symbol È stato Jobs a ideare il logo a forma di mela morsicata, simbolo dell' azienda. Fra le sue invenzioni più famose, l' iPod, l' iPhone e l' iPad, che hanno rivoluzionato il modo di ascoltare la musica e di utilizzare internet e i telefoni cellulari.


Lei Scrittrice Mona Simpson, ha 54 anni, è una scrittrice americana diventata famosa nel 1987 con il suo primo libro, «Anywhere but here» (nella foto, la copertina) L' opera Il romanzo racconta il rapporto fra una madre e una figlia ed è ispirato alla vita della scrittrice. Nel 1999 il libro è stato trasformato in un film con Susan Sarandon e Natalie Portman, con la regia di Wayne Wang. L' ultima opera di Mona Simpson è stata pubblicata nel 2010: «My Hollywood»

Thursday 8 September 2011

Coca Cola punta su Facebook

La storia Anche Verizon, Cbs, Sony e Gm alleate con Zuckerberg

Boom per il costo delle inserzioni sul «social network» I nuovi linguaggi Anche la Pepsi si mette «on line» e lancia un concorso aperto alla comunità dei giovani navigatori sul web



MILANO - Quella del Nord Africa è stata chiamata la «rivoluzione dei social network», visto che i giovani ribelli si sono organizzati sulla rete per poi darsi appuntamento in strada. Ma anche il successo dei referendum in Italia secondo molti è stato grazie a Facebook. A cavalcare sempre più l' abbraccio multimediale garantito dal «salotto» di Mark Zuckerberg non sono solo i movimenti in cerca di espressione ma le big company che per attirare nuovi clienti, soprattutto i giovani, si stanno sempre più rivolgendo alla creatività della rete sociale. Secondo il Financial Times il costo di un «ad» (inserzione) su Facebook sta crescendo a livelli esponenziali proprio perché le grandi marche cominciano a trasferire i loro investimenti pubblicitari dalla tv e dalla carta stampata sul social network. Con il risultato che il «costo per click» di un «ad» piazzato su Facebook è aumentato del 74% nell' ultimo anno nei quattro maggiori mercati media. Il quotidiano inglese che cita un rapporto di Tbg Digital (società specializzata in social media) sottolinea come la spesa per piazzare la pubblicità, conteggiata per migliaia di «impression» o «ad» visti, sia cresciuta del 45% in Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania. La rete, la rete, la rete.














125 annidi storia
La pagina di Coca Cola su facebook con le celebrazioni per i 125 anni


Caso emblematico quello della Coca Cola, un marchio che ha conquistato il mondo a forza di comunicazione e che è stato tra i primissimi partner a firmare l' accordo con Facebook, a fine 2007, insieme con Verizon, Blockbuster, Cbs; e ancora Sony Pictures Television, New York Times, General Motors e altri. A neanche quattro anni di distanza la pagina del colosso di Atlanta è così popolare da aver raggiunto i 32 milioni di fan. E per dare la misura di quanto sia innovativo l' impatto del social network sulla comunicazione della famosa bottiglia, basti sapere che a crearne la pagina in primis sono stati due giovani così appassionati delle bevanda dalle bollicine da non poter fare a meno di condividere il proprio entusiasmo con altri fan. È successo un po' di tempo fa quando Dusty e Michael non trovando la pagina ufficiale di Coca Cola su Facebook, decisero di crearla da soli. Da quel giorno in poi, la multinazionale di Atlanta ha scommesso sulla pubblicità virale, sviluppando proprio quel profilo iniziale. Oggi Coca Cola che archivia il secondo trimestre con un utile netto in rialzo del 18% a 2,8 miliardi di dollari (le vendite sono aumentate del 47% a 12,7 miliardi) celebra sul social network (e anche su YouTube) una tappa importante: l' anniversario dei «125 anni di storia in 125 secondi». E lo fa con uno spot nostalgico realizzato da McCann Erickson Madrid che per un flash back riporta a una farmacia, alla fine dell' 800... Anche l' eterna rivale Pepsi si sta dando molto da fare per colpire l' immaginario dei giovani fan. E sul social network attraverso «Migliora il tuo mondo» lancia ai ragazzi «mega sfide» sul loro mondo: dalla scuola al lavoro, dagli «spazi urbani» al «sabato sera». Le idee migliori saranno premiate dal gruppo di Somers (New York) nel 2012. E intanto Zuckerberg, in vista della Borsa, monetizza con il marketing del passaparola la larga scala della sua piattaforma sociale, una comunità di 750 milioni di «amici».

Saturday 3 September 2011

Che pied-à-terre nel cuore di Brera

MILANO - Il numero civico è il 20, la via è quella dell' Orso, storica strada alle porte di Brera. Proprio a fianco del giardinetto su cui troneggia il cartellone pubblicitario più famoso della città, che a turno vede protagonisti i divi del calcio, del cinema e dello spettacolo. Marco Mario Milanese forse non poteva scegliere un luogo più adatto allo stile di vita che sta emergendo sul suo conto in questi giorni per il suo pied-à-terre meneghino. Un esclusivo appartamento di 80 metri quadri in una palazzina del Seicento appena rimodernata, intestato alla figlia di 18 anni. Valore dell' abitazione: un milione di euro. A vendere l' appartamento a Milanese, è stata la Aedilia Due, società facente capo al colosso Aedes, una spa che sarebbe alle prese con perdite economiche e contenziosi con il fisco, tra i cui azionisti c' è pure la Fininvest. In zona la discrezione è massima. A cominciare dal citofono del palazzo: soltanto etichette bianche. Del custode non si intravede neppure l' ombra. Nell' immobile non c' è nessuno, tranne un inquilino ancora in fase di trasloco e un sudamericano concentrato a fare le pulizie. L' amministratore del condominio giura di non aver mai incontrato l' avvocato multiforme, professore di diritto, ex capitano della Guardia di Finanza ed ex consulente del ministro dell' Economia, Giulio Tremonti. Lungo la via, abitanti e commercianti si trincerano dietro un silenzio che - a esser sospettosi - risulta quasi reticenza. «Non so niente io», «mai visto», «mai sentito» sono le frasi più pronunciate. «E anche se fosse che abitava qua?» s' interroga l' antiquario d' orologi sotto casa, altra passione di Milanese oltre alle belle auto e agli yacht. Solo pochi commercianti lo avevano individuato: «Nel momento in cui l' ho visto in televisione - racconta un barista della via - ho capito di averlo già incrociato». Ma è tutto qua. L' edificio d' epoca, all' interno, è completamente ristrutturato: cinque piani, svariati appartamenti («quasi tutti vuoti» assicura l' amministratore), un piccolo cortile con in mezzo una stonata passerella sospesa all' altezza del primo piano. Su Internet, alla modica cifra di 880 mila euro, vendono un appartamento dell' immobile, guardacaso proprio di 80 metri quadri, al terzo piano. Le foto sono visibili da tutti e chissà che quell' arredo, tra il moderno e lo sfarzoso, non possa essere proprio del gusto del politico- viveur oggi accusato di fatti ben più gravi dei suoi vezzi e del suo stile di vita.

Design 011



Thursday 1 September 2011

Moka Status Symbol

Lo star system ama il caffè. Il nostro caffè. E dire che a Hollywood e dintorni vanno forte i bollitori per i «lunghissimi» d' orzo all' americana, i macchiati a fine pasto che noi, mediamente, rifiutiamo. Perché il caffè dev' essere quello giusto, preparato con la moka (un po' in disuso, parrebbe) o con le capsule, che oggi vanno di gran moda. Fatto sta che i più famosi testimonial internazionali della mitica bevanda (come piace in Italia) sono George Clooney (Nespresso) e Julia Roberts (Lavazza), nei panni della Venere di Botticelli. Ancora: i registi Francis Ford Coppola (nel 2000), Pedro Almodovar (2009) e l' artista indiano Anish Kapoor (2011) hanno firmato la serie di tazzine Illy Art Collection. Poi, ci sono gli chef stellati, con creatività incorporata, a dare man forte al prodotto, esaltandone la versatilità. Il nome più prestigioso è il catalano Ferran Adrià che, in joint venture con Lavazza, ha inventato il primo caffè solido della storia. Quindi, il Caviale al caffè, il Cappuccino d' alta quota, l' Uovo caldo al caffè. Mentre Davide Oldani, per la stessa azienda, ha disegnato il cucchiaino col buco. Provocazione? Mah. Gli esperti assicurano che espoon permette di attraversare delicatamente la crema dell' espresso senza disgregarla, mescolando lo zucchero nella tazzina. Ne evita, inoltre, il veloce raffreddamento. La versione gelida, invece, funziona soprattutto in estate, tempo di «shakerato» (prepararlo bene richiede il tocco da maestro) e di cappuccino freddo. «In questa stagione, rappresentano il 30 per cento dei prodotti serviti nella nostra caffetteria», conferma Andrea Berton, chef del Trussardi alla Scala (Milano). Succede di tutto sul pianeta dell' arabica, la specie più pregiata tra le piante del caffè. Ma dov' è finita la cara, vecchia, moka? La macchinetta casalinga, invenzione geniale, utensile/simbolo, presente da generazioni in ogni cucina delle famiglie italiane, per quanto reggerà all' urto delle nuove tecniche, delle nuove creazioni? Forse influenzati dalla pubblicità, tra capsule e cialde, si ha la sensazione che abbia fatto il suo tempo e sia destinata alla rottamazione. «Non è così», ribattono i produttori di caffè. La moka non solo resiste; è lo zoccolo duro del consumo casalingo. «Le capsule rappresentano soltanto il 4 per cento di questo mercato - spiega Giuseppe Lavazza -. Intendiamoci, l' incremento è notevole; 25/30 per cento l' anno». Dice Andrea Illy: «La moka appartiene al segmento tradizionale dei consumatori. Tra questi, molti anziani. La preferenza delle capsule è elitaria, anche a causa del maggior costo, circa 40 centesimi, a fronte dei 15 del caffè in polvere. Coinvolge particolarmente i giovani». Ai quali, per inciso, i produttori triestini hanno dedicato la nuova macchina da caffè Y1. Con lo slogan: creata per la generazione Y. Sia Illy che Lavazza sottolineano, però, la convivenza dei due metodi più significativi di preparazione del caffè, at home . Negli uffici, nei locali pubblici, invece, le macchine sono inattaccabili. È oggettivamente in declino la «napoletana» (inventata in Francia) di antica tradizione. La scelta - moka o capsula - dipenderebbe dalle occasioni di consumo, dai momenti della giornata. Per la prima colazione, la maggior parte degli italiani prepara il caffè con la moka. «Il cui aroma, diffuso nell' aria, dà il senso dell' intimità», osserva Illy. Dopo i pasti, con gli amici, va di più l' espresso cremoso, prodotto con la macchina. «Ma a livello internazionale vince ancora il filtro inserito nel bollitore», dice Lavazza. «È ben piazzata anche la moka elettrica - aggiunge Illy -. La classica, infatti, si mette sul fornello a gas che porta l' acqua velocemente all' ebollizione; ma, all' estero, nelle cucine sono diffuse le piastre a conduzione. Dunque, risulta più pratico il modello elettrico». Il caffè da degustazione resta, fuor di ogni dubbio, il classico espresso. Ed esige, come il bicchiere per il vino, la tazzina giusta. «L' ideale è quella di porcellana, il materiale che meglio mantiene ed esalta il piacere fumante», scrive Pietro Semino, notista di costume, nel suo libro «Sua Maestà il Caffè» (Vallardi), summa di notizie, curiosità, ricette. Insiste, con una punta di pignoleria: «Per degustare a regola d' arte, ben vengano le tazzine con particolare fondo a uovo e di speciale spessore per non alterare consistenza e temperatura ideali, purché di circonferenza ridotta e altezza moderatamente accentuata».

Tuesday 2 August 2011

La verità nella rete. Difficile da pescare.

Bertolt Brecht pubblicò nel 1939 un articolo dal titolo «Cinque difficoltà per chi scrive la verità». La prima difficoltà, sostiene Brecht, è «il coraggio di scrivere la verità». La seconda difficoltà è «l’accortezza di riconoscere la verità». La terza è «l’arte di maneggiare la verità come un’arma». La quarta è «il sapere scegliere coloro nelle cui mani la verità diventa efficace». E, infine, la quinta difficoltà è «l’astuzia di divulgare la verità ai molti». L’articolo fu pubblicato su un giornale in lingua tedesca che usciva a Parigi quando le armate di Hitler avevano già aggredito la Polonia e la Seconda guerra mondiale era appena iniziata. Di conseguenza Brecht scrisse il suo articolo in un momento in cui la bugia aveva il monopolio nella comunicazione pubblica, alla radio e sui giornali di molti stati, mentre venivano innalzate altissime mura che la verità avrebbe dovuto scavalcare per giungere nelle mani di coloro in grado di utilizzarla efficacemente.


Di sicuro, ai nostri giorni, non ci vuole più un coraggio particolare per scrivere la verità, come lamentava Brecht nella prima difficoltà. E allo stesso modo non vale più la quinta difficoltà. Oggi la diffusione della verità è talmente semplice che, in ogni modo, si diffonde ai molti, almeno all’interno dell’Europa.

D’altro canto, però, la seconda difficoltà, è diventata molto più complicata. Al tempo di Brecht, la realtà era facilmente riconoscibile con la sua ferocia. Da un lato le forze del male, cioè del totalitarismo, dall’altro quelle del bene, ossia della libertà, e tra di loro il campo di battaglia. Non c’era bisogno di conoscenze particolari per riconoscere la verità. Oggi, la messe di informazioni che il cittadino medio riceve dalla televisione, la radio, la stampa e da Internet è talmente abbondante che riconoscere la verità richiede davvero una competenza particolare. Quel che non c’era al tempo di Brecht e che invece domina il nostro tempo è l’onnipotenza dell’immagine. Il cittadino medio ogni giorno subisce un diluvio di immagini che provengono dalla televisione e dalla rete che finisce spesso per identificare la verità con l’immagine. Dalla frase di Marshall McLuhan «Il mezzo è il messaggio», siamo passati a una nuova fase: «L’immagine è la verità». La parola stampata non favorisce solo la conoscenza o l’informazione, aiuta in particolar modo il giudizio.

Il lettore di un giornale assume un atteggiamento attivo che scaturisce dal mezzo stesso, che lo costringe a mettere in funzione la sua capacità di giudizio, per scoprire qual è la verità. Invece, l’immagine impone di solito allo spettatore un atteggiamento passivo che lo induce ad accogliere la sua verità. Questo non significa, ovviamente, che l’immagine sia sempre menzognera. Di solito, però, si limita a dire una mezza verità. E le mezze verità preludono alle mezze bugie.

L’immagine televisiva ci ha abituato, d’altro canto, all’effimero e al fugace. La verità dell’immagine, mezza o intera che sia, è momentanea. Vale finché non viene sostituita dalla successiva immagine emozionante e poi viene cancellata come se non fosse mai esistita. Le verità che durano, quelle che costituiscono i valori stabili della vita, sono state abolite. L’immagine, per poterti trascinare, deve mutare di continuo. E, così accade anche alla sua verità. L’immagine televisiva è sincera solo quando fornisce immagini di catastrofi. L’esempio più recente è quello di Fukushima.

Nel caso di Fukushima, le mezze verità e le mezze bugie hanno un passato antico, che risale alla tragedia corrispondente di Chernobyl. Da allora una mezza verità e una colossale menzogna vengono sistematicamente messe in circolazione delle aziende che producono energia nucleare. La prima è il basso costo dell’energia nucleare. È una mezza verità che, intenzionalmente, non considera il costo elevatissimo di una catastrofe che è implicito nella produzione. La colossale bugia è che le centrali nucleari, dalla tragedia di Chernobyl a oggi, abbiano perfezionato i loro sistemi di sicurezza. La tragedia di Fukushima ci ha rivelato non solo che non li hanno perfezionati, ma che al contrario la manutenzione anche dei sistemi che già esistevano è stata sacrificata in nome del contenimento dei costi.

Se, ai nostri giorni, esiste una verità che non è mezza, ma intera è quella che proviene dai documenti pubblicati da Wikileaks. Non è affatto casuale che queste pubblicazioni abbiano messo sottosopra politici e governi in tutto il mondo. Perché la verità di quei documenti non solo non può essere messa in dubbio, ma svela anche tutte le mezze, distorte verità che venivano diffuse (e continuano a venir diffuse) in tutti questi anni dai politici e dai media.

E, visto che abbiamo parlato di Wikileaks arriviamo a Internet. Jared Cohen e il presidente di Google Eric Schmidt, in un articolo pubblicato nel numero di novembre/dicembre 2010 di Foreign Affairs sostengono la teoria per cui la forza sempre crescente di Internet scaturisce dal rapporto dei molti con i molti, contrapposto al rapporto dell’uno verso i molti che caratterizza la televisione, e che a questo si deve la diffusione dinamica e la capacità di movimentare grandi masse che dimostrano Facebook e Twitter rispetto alla televisione.

L’esempio più recente che molti fanno è quello del ruolo di catalizzatore che hanno avuto Facebook e Twitter nelle rivolte in Tunisia e Algeria.

Ma questa teoria viene messa in dubbio con argomenti molto convincenti dal professore di diritto Tim Wu nel suo libro The Master Switch. Wu porta come esempio la libertà che ha caratterizzato le radio libere negli Stati Uniti tra il 1912 e il 1920. Dieci anni dopo, tuttavia, la Radio Corporation of America (RCA), nel suo intento di controllare tutto lo spazio delle onde hertziane, pose limiti severi al loro utilizzo. Quel che la RCA è riuscita a raggiungere in un sistema di libero mercato, lo hanno poi copiato Stalin e Hitler per i loro oscuri fini. La radio, nella Germania nazista, è diventata una macchina di menzogne e di propaganda nelle mani di Goebbels.

Monday 18 July 2011

Bon Jovi, energia e capricci

A Udine Il leader voleva anticipare il concerto. «No» degli organizzatori
In quarantamila per la band tornata al successo


UDINE - Bon Jovi ha fatto i capricci. Insoliti. Voleva iniziare con un' ora di anticipo sull' orario stampato sui biglietti (21.15). Pretendeva infatti di cantare per tre ore, ma anche di decollare col suo aereo privato entro mezzanotte, ultimo slot disponibile all' aeroporto di Ronchi. Gli organizzatori Claudio Trotta di Barley Arts e Loris Tramontin di Azalea erano decisamente contrari: troppi biglietti ancora da ritirare (un migliaio) di spettatori bloccati dal traffico. Alla fine il compromesso: alle 21 precise, con solo un quarto d' ora d' anticipo, le note di «Raise your hands» hanno mandato in fibrillazione gli oltre quarantamila spettatori provenienti da Italia, Slovenia, Austria e Svizzera. Alle 21.37 ha incominciato a piovere a intermittenza. Ma in fan hanno resistito imperterriti. Palco immenso, con megascenografia virtuale ad alta definizione e passerella gigante in mezzo alla folla per questo quasi rock, come lo chiamavamo nel 2003, in occasione della loro esibizione all' Heineken Jammin Festival di Imola. E oggi più che mai quel che Bon Jovi propone con grande successo di pubblico (e qualche sberleffo dei critici) è in realtà un pop travestito di rock che fa sentire tutti intenditori. Stiamo parlando di una formazione storica in pieno rilancio, seconda solo agli U2 nelle classifiche di incasso ai concerti. L' ultimo colpo di coda è stato a Londra dove hanno tenuto banco per dodici sere allo O2 di fronte a 200.000 spettatori complessivi. Non sono mancate neanche ieri allo Stadio Friuli, canzoni leggerine e orecchiabili, ricche d' enfasi che i fan cantano in coro: come le iniziali «Raise your hands», o «You Give Love a Bad Name», scritta, come tante altre da Bon Jovi, Desmond Child e Richie Sambora. Già, Sambora. Altra anima del gruppo, alcolista impenitente, ma anche molto impegnato nel sociale. Il suo rientro a sorpresa in questo tour, dopo un ricovero in clinica legato a una depressione e all' alcool, ha mandato in visibilio i fan. Ieri sera il chitarrista storico dei Bon Jovi è sembrato davvero in ottima forma. Fra i momenti più curiosi della serata un gioco di bandierine colorate organizzato dal fan club. Il concerto di ieri ha confermato che dietro questo perdurante successo ci sono il carisma e la prestanza di Bon Jovi. A 49 anni, Bon Jovi è «tremendamente figo» (come osservava una fan in un blog), ha un fisico così ben proporzionato che sembra uscito da un cartone animato. Tiene (tamarrescamente) la camicia di pelle nera aperta sul petto, si muove con la precisione di uno studente di mimo specializzato in pose rock. Senza contare chioma e dentatura perfetta. I suoi fan si muovono in sincronia con lui, battendo le mani a ondate come in certi antichi video dei Queen. La sensazione è che sappia fermare il tempo sia nell' aspetto che nella scrittura. Ieri sera infatti non c' era una grande differenza fra «Bad Medicine» del 1988 e «Love' s The Only Rule» dell' anno scorso. Insomma trionfa pescando fra gli effetti musicali più accattivanti (ruffiani) degli ultimi 30 anni. Nei bis ha cantato «Wanted dead or alive» avvolto nel tricolore e ha chiuso il concerto dopo due ore e cinquanta minuti.


Anni Ottanta

La storia Chi sono I Bon Jovi, nati nell' 83 nel New Jersey, sono Jon Bon Jovi (voce), Richie Sambora (chitarra), Tico Torres (batteria) e David Bryan (tastiere). Hanno venduto circa 150 milioni di cd I successi «Livin' on a Prayer», «Have a Nice Day», «Wanted Dead or Alive», «Bad Medicine», «You Give Love a Bad Name», «It' s My Life» Lo stile Sono stati fra le star del pop metal anni 80, per poi virare verso un poprock più tradizionale